Fracesco Salvini su Cantare del deserto

La forma, all’apparenza semplice, nasconde un attento lavoro di cesello; le strofe pentastiche, sempre presenti, a volte si palesano, altre volte si nascondono, talvolta vanno ricostruite (asservendo la forma a una resa visiva della storia) oppure strabordano nei testi successivi, rivelandone la sostanziale continuità.

Queste strofe raccontano la storia di un viaggio extra-ordinario, cioè fuori dalla narrazione che siamo solitamente abituati ad ascoltare sui migranti, ma ahimè fin troppo comune.
Partendo dall’espediente dell’anfora (testimonianza e traccia di vita, ma anche simbolo di naufragio), Ceci accosta l’orecchio e porta a galla una poesia che denuncia con la sua sola esistenza.
L’editore proprio ieri, parlando di ricci, migranti e di visione politica del mondo, ha ricordato Carlo Bordini che si chiedeva: “E noi che scriviamo poesie, cosa possiamo fare?” Ecco, scrivere (e pubblicare) quest’opera mi sembra un ottimo inizio.

 


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