Oggi, Su Poesia del nostro tempo, è stata pubblicata una intervista ad Antonio Lillo a cura di Silvia Rosa, su Pietre Vive e sull’editoria di poesia.
Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia?
Secondo me, la rete è molto contradditoria per quanto riguarda la diffusione dei libri di poesia. Io mi considero uno scrittore social, nel senso che non baso tutto su quello, ma so che il mio lavoro è conosciuto anche per come mi racconto sui social. Eppure, a fronte delle centinaia di like che a volte può prendere un post per l’uscita di un libro, quel libro non venderà mai, o almeno non mi è mai successo, un corrispondente numero di copie. Così per le presentazioni. Organizzi una presentazione, vengono in cinque, fai una diretta, la vedono in cinquecento. Quanti libri hai venduto alla fine dell’evento? Due, ma fra quei cinque venuti alla presentazione. Chi ha seguito la diretta generalmente non compra, non mette mano al portafogli, non si sente coinvolto se non per lo spazio di un like. Sa che ci sei, gode del tuo successo, ma come voyeur. Gli unici autori che vendono realmente attraverso i social sono quelli che assumono la caratura di personaggi, di cui uno compra la loro storia esemplare più che la loro scrittura: penso ad autori come Franco Arminio, che è molto bravo nel gestione del proprio personaggio pubblico, ma onestamente non è un fenomeno nato con Internet, succedeva già con la Merini o prima ancora con D’Annunzio, per fare degli esempi. Inoltre, va detto, Arminio, o Guido Catalano, o il nome di un altro che sa come vendersi, sono persone che si fanno un mazzo così nella promozione, intervenendo ovunque, spostandosi in continuazione per l’Italia, ed è un lavoro a tempo pieno quello, sfiancante, un lavoro che non tutti sono disposti o in grado di fare. Diciamo che i social sono utilissimi a far girare e a far conoscere la propria poesia, in alcuni casi serve a procurarsi quegli inviti utili a girare e incontrare il pubblico, ma hanno un peso relativo nelle vendite, affidate ancora una volta al fascino e all’intuito del singolo autore. Ultimamente si assiste al fenomeno di una poesia nata in rete, cioè non pensata su carta e poi condivisa con una foto, ma già pensata per la rete e per una diffusione online. Prendi l’Instant poetry di cui tutti parlano, è una poesia spesso immediata che a me non dispiace e credo abbia delle dinamiche e un linguaggio tutto suo, anche se non so quanto reggerà alla prova del tempo. A volte ho la sensazione che chi si muove in questi nuovi linguaggi manchi del coraggio di portare avanti quel discorso fino alle estreme conseguenze. Ad esempio molti scrittori di Instant poetry, per quanto producano testi che hanno uno specifico valore nel contesto digitale, sognano ancora di finire in un libro cartaceo, non sono pronti a mettersi in gioco su un terreno che esclude definitivamente l’altro. E perché? Perché puoi avere migliaia di follower in rete, ma lo status di Poeta, con la maiuscola, lo conquisti ancora, soltanto, stampando un libro cartaceo. Di fronte a questa prospettiva, che io sappia, nessuno finora ha detto: “Me ne fotto e vado avanti per la mia strada!”